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sabato 28 settembre 2013
martedì 24 settembre 2013
LE INFINITE TESTE DI FILIPPO BENTIVEGNA
Filippo Bentivegna in un ritratto fotografico realizzato nel 1957 da Giuseppe Quatriglio e riproposto dal saggio "Contatti-Persone e personaggi del Novecento", edito nel 2004 dalla Fondazione Giuseppe Whitaker Palermo.
ReportageSicilia dedica questo post al pescatore-contadino di Sciacca che per quarant'anni scolpì teste in tufo e legno all'interno del suo podere: una forma autodidatta d'arte che fece seguito ad un trauma psichico patito da Bentivegna durante gli anni d'emigrazione negli Stati Uniti,
fra il 1913 ed il 1919
E’ stato genericamente descritto spesso come un “artista naif”; una definizione che non indica però la genesi della complessa arte di un uomo divenuto scultore in conseguenza delle traumatiche vicende di cui fu vittima: eventi mai del tutto spiegati con chiarezza, ma dai quali germogliarono le sue ossessive capacità espressive, ancor oggi visibili a Sciacca all’interno del “Giardino incantato”, non lontano dal monte Kronio.
Un gruppo di teste scolpite nel tufo all'interno del podere di Bentivegna,
nei pressi del monte Kronio di Sciacca.
L'area, denominata "Giardino incantato", è oggi visitabile e malgrado i vandalismi ed i furti del passato conserva la testimonianza della vita di una delle figure più autentiche dell'arte popolare siciliana del XX secolo.
L'immagine è tratta dall'opera di Matteo Collura "Sicilia sconosciuta: itinerari insoliti e curiosi", edita da Rizzoli nel 1985
La storia di Filippo Bentivegna – il pescatore-contadino emigrato negli Stati Uniti e poi tornato nella cittadina agrigentina per scolpire centinaia di teste di tufo o di legno di ulivo o di carrubbo – è così una di quelle vicende umane che ricordano certi personaggi raccontati da Stefano Malatesta nel suo “Il cane che andava per mare ed altri eccentrici siciliani”.
Le vicende di Bentivegna – nato nel 1888, emigrato nel 1913 prima a Boston, poi a New York e Chicago, quindi tornato a Sciacca nel 1919 con un certificato di infermità mentale conseguenza di un trauma cranico provocato da una randellata, ed infine morto nel 1967 - sono ampiamente descritte in rete; su YouTube sono anche visibili alcuni documentari, come quello realizzato da Novella Aurora Spanò e Piergiorgio Scuteri.
On line è anche possibile leggere le pagine del saggio di Gaetano Rizzo Nervo “L’eccillenza Filippo Bentivegna”, edito da nel 1996 da Luigi Pellegrini editore
Il libro racconta la vicenda umana ed artistica di un analfabeta che “nella sua solitudine, per tutti i giorni vissuti in quel giardino-paradiso, ha sempre trascorso il suo tempo parlando con tutte quelle teste mute ed il suo linguaggio, via via, ha finito di essere fatto con parole di senso costruito per trasformarsi in un canto, in una litania di vocaboli inventati che in quel luogo, al cospetto del mare d’Africa e nella memoria di trecento anni di presenza saracena, si è arricchita del ritmo e del suono propri del non lontano Maghreb”.
Il saggio di Gaetano Rizzo Nervo "L'eccillenza Filippo Bentivegna", edito nel 1996 da Luigi Pellegrini editore.
Il titolo fa riferimento alla qualifica che lo stesso Bentivegna si attribuiva durante gli incontri con i visitatori del suo
"Giardino incantato"
Malgrado la derisione dei suoi compaesani del tempo – e, dopo la morte, il furto di molte delle teste scolpite dal “pazzo” – l’arte e la storia di Filippo Bentivegna sono ancor oggi visibili all’interno del suo “Giardino incantato”.
Nel frattempo, questo eccentrico siciliano è oggi rappresentato al Museo dell’Art Brut di Losanna www.artbrut.ch, mentre la sua opera è stata oggetto di analisi del critico e filosofo dell’arte Gillo Dorfles.
Una scultura di Filippo Bentivegna esposta al Museo dell'Arte Brut a Losanna.
La struttura ospita le opere d'arte grezza raccolte secondo le indicazioni del pittore Jean Dubuffet, che riconobbe le qualità estetiche di quadri e sculture di artisti autodidatti o con patologie psichiatriche.
Negli ultimi anni della sua vita, Bentivegna fu incontrato a Sciacca da un collaboratore di Dubuffet; non senza qualche insistenza, il museo svizzero ottenne dall'ex immigrato la donazione di alcune opere
In questo post si ripropongono alcune immagini relative alla figura di Bentivegna, a cominciare da un ritratto che ne fece Giuseppe Quatriglio nel 1957 all’interno del suo podere. Spiegando la genesi di quello scatto, lo stesso Quatriglio svela un aspetto della eccentricità del pescatore-contadino: “Lo scultore naif di Sciacca Filippo Bentivegna non voleva essere ritratto tra le sue ossessive teste di tufo. Le foto furono pertanto scattate a sua insaputa. E costituiscono il documento della sua lucida follia”.
Un ritratto fotografico di Filippo Bentivegna realizzato
negli ultimi anni della sua vita.
NOVELLE E LEGGENDE SICILIANE
"Che bellezza, amico mio! Bisogna capire e sentire il dialetto siciliano per capire e sentire la squisitezza delle fiabe che sono riuscito a cogliere di bocca ad una tra le mie varie narratrici…"
Con queste parole Giuseppe Pitrè, (Palermo 1841-1916), medico palermitano ed importante studioso e raccoglitore delle tradizioni popolari siciliane, si rivolgeva in una lettera ad Ernesto Monaci, filologo di chiara fama e suo amico, per esaltare la ricchezza linguistica e la vividezza del dialetto siciliano delle popolane e contadine. Raccontatrici di novelle e racconti, da lui intervistate, gli diedero modo di raccogliere un grande patrimonio in quattro volumi, appartenenti alla monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, edita a Palermo da Pedone Lauriel nel 1875, e subito apprezzata come “una delle più importanti opere di cui la Sicilia facesse dono all’Italia. Un corpus vario ed ampio che offre una panoramica dei tipi e dei motivi della narrativa popolare siciliana, un numero considerevole di fiabe di re, di principesse fatate, di draghe e mamme-draghe, novelle, leggende, motteggi, facezie, burle, proverbi e modi di dire, aneddoti, storielle, ed apologhi.
Calvino, a proposito dei racconti di Pitrè così si pronunciò -al centro del costume di raccontar fiabe è la persona - eccezionale in ogni villaggio o borgo - della novellatrice o del novellatore, con un suo stile, un suo fascino.
domenica 26 settembre 2010
sabato 25 settembre 2010
la setta dei beati paoli.
La società nacque, secondo il marchese di Villabianca, dallo strapotere e dai soprusi dei nobili che amministravano direttamente anche la giustizia criminale nei loro feudi.
È difficile trovare documentazioni che ne convalidino l'esistenza e l'operato anche perché i racconti della tradizione popolare erano esclusivamente orali. Ne risultano perciò molteplici teorie non concordanti tra loro che oscillano da una affermazione della loro storicità al convincimento che ci si trovi di fronte ad una invenzione letteraria, mentre è più facile trovare documentazione a partire dalla fine '800 su una diffusione in Sicilia di una convinzione popolare sull'effettiva storicità dei fatti.
Ad essi molti si sono richiamati per originare storicamente la nascita della mafia.
Nelle uscite del 20 e 30 dicembre 1836 del periodico palermitano Il Vapore, Vincenzo Linares pubblica il racconto I Beati Paoli. Nel 1909 Luigi Natoli fa del tema l'oggetto di un fortunato romanzo d'appendice, anche questo intitolato I Beati Paoli. La riedizione del romanzo proposta nel 1971, da Flaccovio editore, con un saggio introduttivo di Umberto Eco ha giovato molto alla conoscenza della vicenda tra un pubblico più vasto, indipendentemente dall'irrisolto problema di quali siano gli elementi romanzati e quali quelli storici nello scritto del Natoli.
Secondo lo scrittore la Palermo sotterranea nella quale si movevano e si riunivano segretamente i Beati Paoli si trova per la precisione sotto il quartiere del Capo in un reticolo di cunicoli e caverne appartenenti ad un'antica necropoli cristiana che si trova tra la chiesa di Santa Maruzza e il vicolo degli Orfani.
Ne Il ritorno di Cagliostro s'immagina che il regista Pino Grisanti abbia girato su di essi un film, oggi dimenticato, dal titolo Gli invincibili Beati Paoli.
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Ad essi molti si sono richiamati per originare storicamente la nascita della mafia.
Nelle uscite del 20 e 30 dicembre 1836 del periodico palermitano Il Vapore, Vincenzo Linares pubblica il racconto I Beati Paoli. Nel 1909 Luigi Natoli fa del tema l'oggetto di un fortunato romanzo d'appendice, anche questo intitolato I Beati Paoli. La riedizione del romanzo proposta nel 1971, da Flaccovio editore, con un saggio introduttivo di Umberto Eco ha giovato molto alla conoscenza della vicenda tra un pubblico più vasto, indipendentemente dall'irrisolto problema di quali siano gli elementi romanzati e quali quelli storici nello scritto del Natoli.
Secondo lo scrittore la Palermo sotterranea nella quale si movevano e si riunivano segretamente i Beati Paoli si trova per la precisione sotto il quartiere del Capo in un reticolo di cunicoli e caverne appartenenti ad un'antica necropoli cristiana che si trova tra la chiesa di Santa Maruzza e il vicolo degli Orfani.
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martedì 10 luglio 2007
1 Preistoria e primi insediamenti
2 Fenici e Greci
3 Guerre puniche
4 Periodo imperiale, invasioni barbariche, bizantini
5 Dominazione araba
6 I Normanni
7 Gli Svevi
8 Gli Angioini
9 Gli Aragonesi
10 La dominazione spagnola
11 I Borboni
12 Dopo l'unificazione italiana
13 Voci correlate
http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Palermo
italiano inglese
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